“Team Omega” (Decima parte)

Roma di notte

In quel momento a San Pietro.

Finalmente Piazza San Pietro aveva riacquisito silenzio e tranquillità. Il muro di contenimento sembrava proteggere bene quello spazio limitato dal resto di Roma. Il Team Alpha si trovava sopra al colonnato: nella zona sicura. Il capo squadra stava valutando chi sarebbe sceso per il pattugliamento del perimetro.

“Alpha 2 e 3 scenderanno sulla piazza. Portatevi armi e caricatori per sicurezza.” disse il Tenente.

“Ma non dovevamo uscire in cerca di sopravvissuti?” chiese Alpha 4, il nome di battesimo era Max.

“Inizialmente erano queste le disposizioni, poi sono cambiate molte cose. Rispetteremo gli ordini del Colonnello!” nessuno aggiunse altro, Elena Delzi e Philip si prepararono a scendere dal colonnato.

Iniziarono dal lato ovest, camminando vicino ai basamenti di cemento e lastre di plexiglas che separavano la zona infetta dal resto della piazza. Quel muro riusciva anche a fermare quasi del tutto il rumore che provocavano gli infetti dall’altra parte, inoltre era opaco e le sagome apparivano quasi delle ombre innocue.

Elena, durante la perlustrazione, non aveva detto una sola parola. Imbracciava il mitra e dava delle occhiate fugaci su quello che le si stagliava davanti.

“A cosa stai pensando?” le chiese il compagno.

“A quel tizio, al giornalista. E’ riuscito a sopravvivere per due mesi in questo fottuto casino. Mi domando come abbia fatto.”

“Fortuna?” disse Philip, “O forse è stato aiutato da qualcuno.”

“No. Credo ci sia molto di più.” Si fece silenziosa, poi disse: “Abbiamo mai visto in faccia Cristiano Turri? Qualche documento che attesti la sua identità?”

Philip non rispose, però valutò quello che aveva appena sentito.

“Va bene, la mia è solo una stupida ipotesi, una supposizione. Chi conosce questa storia oltre noi e lui?”

“Diego Vorra, immagino.” disse Philip senza pensarci molto.

Il Team Alpha si riunì vicino alla postazione radio, Alpha 4 afferrò il microfono: “Centro Comando, qui Alpha 4, rispondete Passo!”

Apaches 3

In quel momento, nell’Edificio Obiettivo.

All’interno c’erano tavoli rovesciati, computer distrutti e monitor sbriciolati. Se qualcuno avesse voluto spostarsi senza fare rumore, gli sarebbe stato impossibile.

Julie corse lungo il corridoio di sinistra, Trevor l’aveva vista con la coda dell’occhio. Lui si riparò dietro la prima scrivania ribaltata.

I Team Bravo e Delta scelsero il corridoio di destra, tentando di nascondersi dietro oggetti abbastanza solidi. Al loro ingresso erano stati accolti a colpi di arma da fuoco, schegge di legno e pezzi d’intonaco volavano ovunque.

Il sergente accese il Visore Interattivo e vide gli otto puntini blu dislocati nell’edificio. Ne vide sei al piano di sotto, mentre due dovevano trovarsi al piano superiore, quello soppalcato.

Chiamò Julie, ordinandole di restare ferma e a terra. Il cane ubbidì e aspettò il compagno. Attesero in silenzio e nella semi oscurità dell’ambiente: Trevor stava valutando un piano sicuro per uscirne entrambi vivi.

Le altre due squadre erano salite al piano superiore, coprendosi a vicenda. Ci furono degli spari, colpi singoli in rapida successione. Dopo qualcuno aveva detto per radio: Soppalco libero!

Rimase un solo ambiente da ripulire: il seminterrato. Trevor vide i sei bersagli dislocati quasi a coppie, quindi decise di usare le cariche di C4, quelle progettate per Julie con l’innesco a tempo. Ne lanciò due sul lato nord e sud, finché udì le urla dei tizi che tentavano di sfuggire all’esplosione.

Le detonazioni avvennero puntuali, dieci secondi dopo aver toccato terra. Nubi di detriti e polvere salirono fino al piano superiore. Persino pareti e muri avevano subito tremori rischiando di collassare su sé stessi.

Passati cinque minuti, il sergente chiamò il Centro Comando.

“Centro Comando, qui Omega 1: bersagli a terra, ripeto: bersagli a terra! L’obiettivo primario non è all’interno dell’edificio. Diego Vorra non è qui. Team Omega richiede Punto di Estrazione per rientro alla base.”

Non gli giunse nessuna risposta.

Hangar

Hangar Sala Operativa Centro Comando.

C’era un insolito silenzio all’interno dell’Hangar, fogli sparsi a terra, un monitor giaceva in un angolo con al centro un foro di proiettile. Vicino alla postazione radio c’erano due persone e, una di queste, era il Colonnello John Stewart. Alla radio tentavano di mettersi in contatto con il S.O.C.C. senza riuscirci. Dietro alcune scrivanie giacevano una decina di corpi.

“E’ stata una mossa astuta la sua” disse il Colonnello, “spacciarsi per un giornalista che nessuno ha mai visto in faccia.”

Diego Vorra sorrise, in mano stringeva una pistola. “Adesso basta con i complimenti ipocriti! Voglio solo un elicottero e un volo per il tuo paese!” disse in tono seccato, quasi fosse annoiato per la situazione.

Il Colonnello non sembrava agitato, cercava solo di prendere tempo. “Se il mondo collassasse per l’epidemia, lei cosa farebbe?”

Vorra rise: “Quando un uomo come me ingegna un piano di questo tipo, puoi starne certo, c’è sempre un posto dove andare. Comunque ho in mente una cosa in grande stile, un sogno che hanno avuto uomini come Cesare, Napoleone, o lo stesso Hitler: governare il mondo e disciplinarlo secondo i miei voleri.”

“Uccidendo il genere umano?”

“Non necessariamente. Sopravvivrà solo chi mi serve.”

“E la piaga che ha rilasciato su Roma?”

“Un piccolo monito. Chi produce questo virus sarà presto cancellato dalla faccia della terra!” disse Diego Vorra con un sorriso sulle labbra. Per radio giunsero alcune notizie dalla Corea del Nord: Diversi ordigni nucleari sono esplosi all’interno della Corea del Nord. Una nube radioattiva si muove verso il Giappone. Varie scosse sismiche sono state registrate oggi, con epicentro proprio Pyongyang.

“Pensavo di avere più tempo.” disse Diego Vorra. Alcuni elicotteri si stavano avvicinando all’hangar, pale e rotori provocavano un rumore assordante.

“Perché non richiami i tuoi superiori e gli suggerisci di farmi usare uno dei vostri elicotteri?” armò la pistola puntandola alla tempia del Colonnello. “Ho degli affari che mi attendono!”

Il Colonnello s’irrigidì temendo il peggio ma aveva una domanda da porgli: “Allora mi conferma che non ci sia alcuna cura per questo virus?”

“Certo che esiste.”

La porta d’ingresso saltò in aria, una nube di polvere e detriti finì all’interno e il Team Omega fece ingresso. Julie corse tra i banchi rovesciati dall’onda d’urto: aveva pochi istanti per bloccare il soggetto. Diego Vorra sparò un colpo che andò a vuoto ma Trevor lo centrò in pieno petto.

Altri uomini varcarono l’entrata: Bersaglio a terra! Riponete le armi, è tutto finito! disse una voce per radio.

Il corpo di Vorra era disteso a terra, del sangue gli usciva dalla bocca ma ancora era in grado respirare. Il Colonnello Stewart s’inginocchiò davanti a lui e gli sostenne la testa: “L’unica cura al virus ero io” disse l’uomo, “ecco perché avevo la certezza di quello che stavo facendo. Il mio sangue contiene l’antidoto!”

Diego Vorra morì domenica 8 febbraio 2015 e con lui anche la possibilità di guarire da quel virus. Il mondo conobbe l’inferno in terra, cominciando da Roma e propagandosi per tutta l’Europa, fino al resto del mondo.

“Team Omega” (Nona parte)

apache - squadra

Trevor Johnson controllò lo zaino tattico e prese un nuovo congegno tecnologico: un Visore Interattivo. Poteva sembrare un normale elmetto. Lo indossò e abbassò una visiera gialla. Il Visore si attivò, collegandosi a due satelliti sempre on-line. Dopo alcuni secondi, davanti ai suoi occhi, apparve una mappa dei quartieri di Roma. Alcuni puntini rossi sembravano fermi, immobili, inoltre poteva vedere le coordinate di spostamento per raggiungere il Punto Alpha –Bravo.

“Ah, la tecnologia” disse il sergente, “non è stupenda?”. Julie alzò la testa e lo guardò abbaiando un paio di volte.

“Forse hanno paura che ci perdiamo per le strade di Roma.” e sorrise.

Julie 4

Il Team Omega si preparò a scendere dalla zona sicura, Julie venne imbragata e calata con una corda. Il Team Alpha controllò l’area da cui sarebbero usciti: sotto il colonnato di San Pietro, dove ancora giacevano i metal detector con due dita di polvere sopra. I palazzi nelle vicinanze erano parzialmente anneriti, le finestre distrutte. C’erano segni di esplosioni e incendi avvenuti nei due mesi di completo abbandono. Diverse auto erano state lasciate in mezzo alle strade.

Trevor e Julie uscirono dalla piazza, spostandosi velocemente. Si fermavano ad ogni riparo occasionale, evitando di fare rumore. Il Visore Interattivo gli mostrava quali strade evitare: quelle con troppi puntini rossi. Gli infetti sembravano statue di sale, probabilmente aspettavano un rumore, un suono, oppure un odore che gli risvegliasse interesse e fame.

Raggiunsero il Punto Alpha – Bravo dopo appena dieci minuti, evitando di attirare su di sé sgradevoli attenzioni. Si fermarono all’incrocio con Piazza Risorgimento, l’edicola era distrutta e, al centro della piazza, era visibile la carcassa dell’elicottero. Erano passati appena due mesi dal giorno dell’incidente e Roma sembrava perduta per sempre.

I Team Bravo e Delta giunsero in piazza: entrambe le squadre erano all’interno di un blindato Lince. Erano otto uomini – quattro per squadra – e dovevano collaborare con il Team Omega. Erano appena passate le 13:02.

Lince 2

Il blindato spostò due auto messe di traverso, mentre dal cielo rumori di elicotteri si sentivano sempre più vicini. Due AH64 Apache sorvolarono Piazza Risorgimento, alzando polvere e cartacce disperse sulle strade.

Julie era a terra vicino a una fiancata di un’auto, lo sportello lato guida aperto. Dentro, sul sedile opposto, c’era un infetto che non poteva muoversi a causa della cintura di sicurezza ancora allacciata. La puzza di bruciato e carne andata a male era ovunque.

Il sergente era in ginocchio a fianco del cane, pensava fosse un riparo sicuro prima che l’infetto si accorgesse di loro. Quella cosa lì dentro cominciò ad agitarsi, a ringhiare e muovere le braccia in avanti. Trevor afferrò il coltello dal fodero ed entrò nell’abitacolo. La lama penetrò nella tempia sinistra del mostro, il sangue non uscì quasi per niente, come fosse coagulato quasi del tutto. Il rumore che emetteva cessò quasi subito.

Team Omega in posizione e in attesa!” disse Trevor per radio.

Vi vediamo. Convergete su Edificio Obiettivo e trovatevi un riparo sicuro.

“Ricevuto, chiudo!”

Il blindato riprese a muoversi ma fu circondato da una decina di infetti: uomini, donne e un paio di bambini. Trevor vide la torretta superiore muoversi, ruotare sugli assalitori e sparare fiamme fino a tre metri di distanza. Gli infetti presero fuoco, si dimenarono cercando di entrare all’interno del mezzo, poi caddero a terra mentre le fiamme continuavano a bruciare vestiti e carne.

Trevor osservò attraverso il Visore Interattivo: non c’erano minacce nelle vicinanze. “Forza Julie, è il momento di muoversi!” disse spostandosi verso il muro più vicino. Il cane gli camminava al fianco.

Il blindato passò sopra alcuni cadaveri, dirigendosi all’incrocio tra la piazza e via Porcari. A destra c’era un grande edificio, una volta era stata una scuola, all’incrocio successivo c’era il palazzo che interessava alle tre squadre.

Trevor vide otto puntini blu sulla visiera, proprio all’interno dell’edificio che dovevano neutralizzare. Non si trattava di infetti, ma di persone vive e che respiravano ancora. Si fermarono davanti all’Edificio Obiettivo e non c’era alcun riparo nei pressi.

Il palazzo era uno dei più bassi, forse tre piani contando il seminterrato, e aveva finestre ad ogni lato. Il sergente si affacciò da una finestra e vide un piano soppalcato, qualcuno si era mosso: i vetri opachi non gli permettevano di vedere bene, ma il Visore Interattivo non mentiva.

Alle spalle del sergente giunse il blindato, i due Apache volavano sopra Piazza Risorgimento tenendo sotto controllo il loro bersaglio.

Il portellone posteriore del Lince si aprì e scesero velocemente entrambi i Team Bravo e Delta: un solo uomo sarebbe rimasto all’interno e controllava la torretta superiore.

Trevor e Julie si misero di lato alla porta, mentre un uomo della Delta portava con sé un ariete e dell’esplosivo.

“Sfondiamo e entriamo! Qualsiasi cosa che si muova va abbattuta, ripuliamo tutto l’edificio e torniamo al Punto di Evacuazione. Domande?” disse un uomo del Team Bravo.

“Ricevuto!” disse il sergente Trevor, “Però il cane entra per primo!”

Fu sufficiente l’ariete per abbattere i cardini della porta e, due secondi dopo, Julie varcò la soglia correndo all’interno. Una densa nube di polvere faceva vedere poco, alcuni spari accolsero le tre squadre che fecero ingresso. Il sergente imbracciava il suo FNF2000, montava una piccola torcia allo iodio per illuminare gli ambienti in penombra o al buio. Ogni Team prese una direzione diversa.

“Team Omega” (Ottava parte)

SOCC

In quel preciso istante.

Domenica 8 febbraio 2015 – S.O.C.C. (Sala Operativa Centro Comando).

L’hangar, in poche ore, venne trasformato in una sala strategica degna di questo nome. C’era un tavolo enorme al centro esatto, su cui poggiava una carta molto dettagliata di Roma. Questa si estendeva fino al Grande Raccordo Anulare, da cui iniziava l’esile confine di Quarantena. Vicino alle pareti c’erano decine di altre scrivanie, con schermi al plasma e potenti computer di ultima generazione. Il Colonnello John Stewart gestiva tutto questo assieme ai suoi assistenti.

Una porta a due battenti si aprì e fece ingresso un gruppo di uomini in divisa, alcuni portavano faldoni di documenti e carte arrotolate. Il Maggiore Rossi era il responsabile dell’U.I.R. (Ufficio Informazioni Riservate).

Era un uomo sulla sessantina e, nonostante il mondo vivesse sull’orlo dell’apocalisse, indossava una divisa impeccabile, pulita. Portava capelli corti e brizzolati.

Gli uomini del Colonnello si fermarono, mentre il Maggiore attraversava l’hangar a passo svelto.

“Le avevo chiesto di diramare l’ordine per la nuova operazione!” disse al Colonnello. Erano entrambi faccia a faccia, solo l’enorme tavolo posto al centro dell’edificio li divideva.

“L’Operazione Contenimento è quasi terminata, che ne dice di attendere un paio d’ore?” disse in tono pacato.

“Lei non è qui per suggerire ma per eseguire le direttive!”

Il colonnello sorrise: “Come pretende di vincere battaglie se sposta a casaccio le forze in campo? Ah, ho capito! Vuole far felice qualche fottuto graduato!”

“Ho qui con me mappe satellitari. Adesso lei ordina ai suoi di far spostare quegli uomini e iniziare l’Operazione Drago di Fuoco. Non ora, immediatamente!” disse il Maggiore.

“Non si azzardi mai più a darmi ordini, soprattutto davanti ai miei uomini!” ribatté il Colonnello.

Il Maggiore rise: “Lei non sa chi rappresento.”

“Per quel che mi riguarda, potrebbe rappresentare anche il presidente in persona. Sono un Colonnello, lei è un Maggiore e si metta sugli attenti per rispetto di gradi e anzianità. Questo è un ordine diretto!”

Il Maggiore gettò i due faldoni a terra, aveva le labbra serrate per la rabbia. Si mise sugli attenti e fece il saluto formale. Il colonnello rispose al saluto con un velato sorriso sulle labbra.

“Adesso contatterò le squadre Alpha e Omega e chiederò l’esito dell’operazione. Soltanto dopo diramerò le coordinate per la nuova operazione.” disse il Colonnello in tono pacato, come se nulla fosse successo.

I due uomini si fissarono per altri secondi, finché il colonnello parlò: “Adesso può andare, Maggiore!”

Il Maggiore uscì dall’hangar, seguito dai suoi assistenti. L’aria, all’interno dell’edificio, era quasi immobile, come lo erano tutti gli uomini del Colonnello. In quei momenti nessuno si era azzardato a muovere un muscolo. Una voce alla radio fece tornare tutti al presente, ricordando che c’era una guerra da combattere.

Centro Comando, qui Alpha 1. Operazione Contenimento terminata. Piazza San Pietro è sicura! Adesso possiamo accogliere gruppi di sopravvissuti e trasportarli oltre il perimetro di Quarantena, chiudo.

Il Colonnello sorrise. “Abbiamo il primo civile da evacuare: mandate un elicottero a prelevarlo!”

Apaches al tramonto

A Piazza San Pietro, pochi minuti dopo.

Uno sparo echeggiò nella piazza e il sergente Trevor Johnson tirò a sé l’otturatore: un bossolo da 12 mm cadde rimbalzando fra i sampietrini. “Bersaglio a terra!” disse.

“Sergente” affermò il Tenente Conti per radio, “se continua così, finirà tutti gli infetti in serata!”

Julie mugugnò, allungò le zampe anteriori sul marmo, poi si rimise a terra. Era uno dei suoi modi per attirare l’attenzione su di sé. Il sergente controllò ancora Via della Conciliazione: decine di cadaveri erano immobili. Sapeva che non si sarebbero più rialzati e che, forse, adesso avevano trovato una specie di pace eterna.

“Ore 12, elicottero in arrivo!” disse Elena Delzi. Rumori di eliche si avvicinavano e, pochi minuti dopo, un AH64 Apache apparve all’orizzonte. I portelloni laterali erano aperti e l’equipaggio iniziava l’operazione di recupero. Per radio, il pilota, diede gli ordini al Team Alpha su dove portare il civile per trasportarlo a bordo. Venne calata una scala di corda su cui il giornalista si arrampicò. Prima di salire a bordo, Cristiano Turri si era messo degli occhiali da sole, infine aveva salutato tutti con un gesto della mano. L’elicottero prese quota e scomparve alla visuale.

Julie 2

Appena trascorsi pochi minuti di silenzio, una voce ruppe il silenzio radio. Il Centro Comando chiedeva di parlare con i comandanti dei Team Alpha e Omega.

Messaggio prioritario – disse il Colonnello Stewart – nuove direttive per Team Alpha.

“In attesa!” rispose il Tenente.

Presidiare la piazza e difendere da possibili attacchi. Ci fu rumore di statica, poi udirono di nuovo la stessa voce: Team Omega si sposta su nuove coordinate gps. Sincronizzazione con Visore Interattivo. Due satelliti operativi agganciati su griglia. Ordini d’ingaggio: sparare solo se necessario. Al Punto Alpha – Bravo congiungersi con Team Bravo e Delta. La nuova Operazione ha inizio immediato e, nome in codice, sarà Operazione Drago di Fuoco. Confermate ricezione nuove direttive?

Trevor si alzò in ginocchio, accarezzò Julie sulla testa e le sorrise: “Confermo ricezione nuove direttive! Qual è il bersaglio?”

Bersagli multipli. Priorità primo obiettivo: catturare soggetto di nome Diego Vorra, possibilmente vivo. Catturare o eliminare cellule Isis. Controllare eventuale documentazione. Distruggere edificio – obiettivo. Supporto aereo: elicotteri di attacco Apaches. Il colonnello si schiarì la voce. Adesso parlo a titolo personale, ragazzi. Non credo nel destino, ma nelle scelte dei singoli individui. Oggi abbiamo squadre che, nel 2011, non sono riuscite a gestire una situazione più grande di loro. Oggi, mentre la razza umana è in declino, c’è la possibilità di rimettere tutto in ordine. Mi auspico che facciate le scelte giuste! Inoltre ricordate: per affrontare gli infetti servono sangue freddo, astuzia, velocità e tattica. Che Dio vi protegga. Chiudo.

“Team Omega” (Settima parte)

Elicottero da trasposrto

La peste del ventunesimo secolo, ecco come l’hanno chiamata nel 2011. I servizi segreti vaticani e Squadre Tattiche sono riusciti a contenerlo per miracolo. Sono morte decine di persone, però l’hanno fermato in tempo.” continuò il giornalista.

Trevor guardò attraverso l’ottica del fucile, vide una donna sul marciapiede e ne osservò i movimenti: barcollava però si dirigeva verso la piazza. Ripensò alle parole del giornalista mentre tratteneva il respiro e premette il grilletto. Il proiettile ci mise due secondi a raggiungere il bersaglio e penetrare l’occhio sinistro. L’infetta cadde giù come un birillo. “Bersaglio neutralizzato!” disse alla radio.

L’operazione Contenimento proseguiva senza sosta. Gli elicotteri da trasporto mettevano giù cemento e lastre trasparenti, gli uomini a terra li rendevano stabili. Il Team Omega vegliava dall’alto e li proteggeva dalla lunga distanza. Si trattava di un lavoro che doveva essere ultimato il prima possibile.

“Lo sa sergente che quel giorno venne dato per la prima volta il Codice Rosso?”

“Non ne so nulla di questa storia.” rispose Trevor.

“Eppure le dovrebbe interessare, perché oggi vive in questo mondo a causa di avvenimenti e persone responsabili di questa catastrofe.”

Il sergente si girò di nuovo e lo fissò negli occhi.

“Ho una sola fonte, che poi è la stessa che ha provocato l’incidente nel 2011 e anche questa nel dicembre 2014!”

Trevor si tolse microfono e auricolari e chiese: “Conosce di persona questa fonte?”

“Certo, ecco perché hanno tentato di uccidermi parecchie volte. Si chiama Diego Vorra!”

“Il nome non mi dice niente.” disse il sergente.

“Non dirà nulla a lei ma lo chieda a qualche suo superiore e vedrà cosa ne pensa.”

Julie 3

Trevor diede due carezze a Julie, dopo si concentrò a perlustrare le zone vicine alla piazza. Non c’erano infetti da abbattere e tutto sembrava andare meglio del previsto. Gli elicotteri d’attacco avevano fatto una pulizia eccellente. Si rimise microfono e auricolari.

“Il 7 dicembre 2014 io ero in piazza per incontrare quel tipo. Voleva che scrivessi un articolo su quello che stava per compiere: il più grande genocidio fatto dall’uomo.”

Trevor non si girò verso il suo interlocutore, qualsiasi minaccia poteva apparire in qualunque momento: “Continui pure, la ascolto.” disse inquadrando il primo incrocio con Via della Conciliazione. Vide un altro infetto, un anziano che aveva voltato l’angolo attirato dai rumori degli elicotteri. Fece partire un colpo e lo vide accasciarsi sul cofano di una macchina abbandonata.

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“Non ci siamo incontrati di persona, credo che avesse paura di essere scoperto. Così ha cambiato strategia: ha contattato l’equipaggio dell’elicottero privato e li ha pagati per aspettare. Ha versato una fialetta intera di quel virus all’interno della cabina di comando. Il resto lo ha visto con i suoi occhi.”

Rimasero un po’ in silenzio, mentre in Piazza San Pietro avevano quasi finito l’Operazione di Contenimento.

“Conosco anche chi ha fornito il virus a Vorra.”

“Lei è una minaccia per quei balordi. Immagino la vorranno morta, oppure infetto di quel dannato virus.”

“Se n’è accorto anche lei?” chiese il giornalista.

“Chi erano quei tizi che erano sulle sue tracce?”

“Cellule dell’Isis. Mercenari che sguazzano felici in un mondo come questo. L’importante è che vengano pagati per quello che valgono e per quello che fanno.”

“Visto che mi vuole raccontare tutto, chi ha dato a Vorra quella fiala?” chiese Trevor controllando i proiettili nel caricatore.

“Vedo che l’ho incuriosita, bene, perché il suo paese, gli Stati Uniti d’America, hanno contribuito a quello che stiamo vivendo.”

“Non ci credo!” disse Trevor.

“Non ufficialmente, però in un magazzino chiamato The Last Warehouse venivano nascoste fiale contenenti quel virus. Anche lì è scoppiato un focolaio dell’epidemia: la stampa non dice nulla a riguardo.” Il giornalista si zittì mentre in piazza veniva calato l’ultimo tratto di muro di contenimento. Il Team Alpha stava lavorando senza sosta e, presto, sarebbero risaliti sopra al tetto del colonnato.

“Va bene, alcuni coreani avevano affittato un box e, in questi mesi, stoccavano casse contenenti fiale con questo virus.” Prima che il sergente gli facesse un’altra domanda, lui si affrettò a terminare: “Parlo della Corea del Nord, naturalmente.”

“Team Omega” (Sesta parte)

littlebird

Avevano pochi secondi per trovare riparo: il Team Alpha si gettò a terra. Il giornalista, appena ripresosi dallo spavento, si mise vicino Philip.

“Alpha 3, proteggi il civile! Non deve cadere nelle loro mani e non deve morire!” disse il Tenente.

“Può scommetterci quello che vuole, Signore!”

Il capo Team si portò il microfono vicino alla bocca: “Sergente Trevor, grazie per l’aiuto. Quanti bersagli vede?”

Trevor, che non aveva smesso di osservare le colonne dalla parte opposta, rispose: “Altri tre bersagli armati di kalashnikov e lanciarazzi.” Scarrellò di nuovo ed inquadrò un altro bersaglio. Siamo arrivati da appena un giorno e abbiamo già un comitato di accoglienza, pensò.

“Alpha 4, ripristina il contatto con il comando e chiedi subito supporto!” Il Tenente, assieme alla donna, strisciarono fino alla fine del tetto del colonnato.

“Se attirate l’attenzione su di voi, posso abbatterli uno alla volta!” disse il sergente Trevor. Via della Conciliazione iniziò a diventare affollata. Una, due, poi decine di sagome si muovevano lentamente verso le fonti di rumore. Uscivano dagli incroci, dalle vetrine sfondate, come un esercito silenzioso e inarrestabile.

“Abbiamo compagnia.” costatò il Tenente.

xm25

Trevor ebbe un’idea: rovistò nella sacca delle armi e tirò fuori il suo XM25, un lancia granate che aveva in dotazione. Si girò a guardare Julie e le diede l’ordine di rimanere a terra. “So che le esplosioni t’innervosiscono, ma devi fare come ti dico!”. Il cane guaì e mise il muso fra le zampe. Sapeva che doveva attendere.

Caricò la granata nell’alloggio e alzò la mira verso i bersagli.

“Sergente, non li eliminerà mai con le granate: hanno troppi ripari!”

“Mi lasci fare, Tenente, so quello che faccio!”

Gli infetti si avvicinavano alla piazza, alcuni barcollavano e tentavano di intercettare la fonte del rumore. Sembravano confusi. Allo scoppio della prima granata, si voltarono tutti a sinistra e s’incamminarono verso il fumo denso e i detriti che rotolavano in terra. Il piano del sergente stava dando i suoi frutti, così lanciò altre granate e le urla dei vivi ne attirarono degli altri. Gli infetti oltrepassarono le ringhiere inciampando su di esse per poi rialzarsi. Gli spari dei Kalashnikov ne attiravano degli altri.

“Comando! Siamo sotto attacco!” urlò Alpha 4 per sovrastare il rumore degli spari.

Quanti infetti?

“Non si tratta di infetti, ma un gruppo ostile – quattro unità per adesso – armati di armi leggere e RPG. Arrivo stimato per supporto aereo?”

Dieci minuti, approssimativo.

“Roger!”

Ci furono rumori di statica, poi la voce del Colonnello: Devo sapere l’etnia dell’unità!

“Europea, chiudo!” rispose Alpha 4.

I colpi di mitra diminuirono e Trevor lasciò che gli infetti cancellassero la minaccia. Un gruppo di dieci bloccò a terra l’ultima vittima e, mentre la divoravano, un’ultima sventagliata di proiettili scalfì una colonna.

Dei rumori di elicottero si avvicinavano rimbalzando nelle vie del centro di Roma. All’orizzonte apparvero due Littlebird e quattro Chinhook. I velivoli più grandi avevano delle funi di acciaio a cui erano appesi pannelli di plexiglas e basamenti di cemento. Oscillavano a causa del vento.

Una voce per radio disse: Cinque passaggi di rastrellamento. Rimanete al sicuro!

Trevor e Julie erano sempre sull’angolo esterno, quello più vicino a Via della Conciliazione, e potevano vedere bene. Due Littlebird si abbassarono a un metro da terra e, in volo stabile, spararono con mitra automatici M230 da 30 mm. Il rumore era assordante, polvere e detriti si spargevano ovunque. Gli infetti venivano falciati come bambole di pezza. I piccoli elicotteri si alternavano una volta finiti i proiettili.

Julie 4

Julie li osservava, orecchie basse, mentre provocavano quei rumori assordanti. Sapeva che non gli avrebbero fatto nulla, li aveva già visti in azione molte altre volte. Sentì una mano posarsi sul suo fianco: Trevor l’accarezzava per farla sentire meno irrequieta.

Gli elicotteri d’attacco terminarono l’operazione di ripulitura e nuovi ordini giunsero dal comando.

Confermate Piazza San Pietro come zona potenzialmente sicura?

“Conferma visiva!” disse il Tenente Alfredo Conti.

Roger! Team Omega in copertura dall’alto. Il superstite deve raggiungere la sua posizione e rimanere al sicuro. Team Alpha si disimpegna per ancoraggio mura di contenimento!

“Confermo nuovi ordini ricevuti! Chiudo!” disse il Tenente.

Il giornalista Cristiano Turri si spostò lungo il tetto del colonnato e raggiunse il sergente Trevor e Julie. “A quanto pare vi devo fare compagnia” gli disse mettendosi seduto vicino a loro.

Trevor si tolse la coperta mimetica e riprese il fucile di precisione: lo sistemò sul treppiede e cambiò un altro caricatore. “Se non parla gliene sarò grato.” rispose secco Trevor.

Il giornalista prese una giacca pesante dalla borsa di Trevor: “Non si offende se me la metto? Fa un freddo cane oggi.” Julie si girò a fissarlo, poi tornò ad osservare la piazza. Il Team Alpha si stava calando con delle corde. Trasportavano armi e una cassetta con degli attrezzi. Li vide correre vicino all’obelisco, saltando corpi dei cadaveri che giacevano lì da ore.

Quattro Chinhook, gli elicotteri più grandi, scendevano lentamente per posare a terra basamenti di cemento e lastre di plexiglass. I quattro membri dell’Alpha si divisero in due squadre e cominciarono l’ancoraggio del muro di contenimento.

“Lo sa che a tre isolati da qui, il 21 maggio 2011, ci fu un versamento di un virus all’interno dell’Università Cattolica?” disse il giornalista.

Trevor sentì tutto, nonostante il rumore degli elicotteri.

“Parlo di un virus aerobico, probabilmente lo stesso con cui oggi possiamo vederne le conseguenze.”

Trevor si girò: “Come diavolo fa a saperlo?”

 

“Team Omega” (Quinta parte)

Julie 2

Elena Delzi diede un colpo sul braccio di Trevor e, senza dire una parola, gli passò la balestra con i dardi: “Meglio non aizzare un vespaio, soprattutto di notte!”. Le voci erano basse, quasi bisbigli.

Trevor la ringraziò con un sorriso. Appoggiò di lato l’arma e afferrò la balestra. La caricò alloggiando un dardo e puntando l’arma sulla sagoma più vicina.

L’uomo si muoveva adagio, spalle alla parete dell’edificio. Mancavano pochi metri allo spiazzo antistante Piazza San Pietro e, superato l’angolo, non sapeva cosa avrebbe potuto trovare.

Elena sgranò gli occhi e trattenne il respiro, Trevor fu veloce a capire dove e cosa avesse visto. Si girò di poco a sinistra e schiacciò il grilletto: la freccia sibilò nell’aria. Uno schiocco sordo, poi ci fu un tonfo e il corpo cadde a terra. Tutto accadde quando il tizio stava per correre oltre l’angolo del palazzo. Forse aveva anche visto cadere il cadavere ma non si fermò, piuttosto corse chino verso la Basilica sperando di non far troppo rumore. Saltò la ringhiera in modo scomposto e cadde a terra.

Io, Katy e Lupo 2

Trevor e Alpha 2 gli furono addosso, con i guanti gli tapparono la bocca e lo immobilizzarono a terra. L’uomo era cosciente ma stordito per la caduta, non sapevano se avesse battuto la testa. Non doveva urlare per nessun motivo al mondo, non potevano permetterselo.

Attesero che il dolore si placasse, senza levargli i guanti dalla bocca e facendolo respirare dal naso. Passarono minuti in quella posizione, poi l’uomo fece segno con la testa che potevano lasciarlo libero. Eseguirono con cautela: prima gli lasciarono libere le mani e le gambe, infine la bocca. Respirava ancora velocemente.

L’uomo si leccò le labbra: “Avete dell’acqua?” disse piano.

Trevor gli passò la borraccia e lo fece bere.

“Mi chiamo Turri, Cristiano Turri. Ero un giornalista.”

“Caspita” disse Elena, “sei riuscito a sopravvivere per due mesi da solo?”

Trevor corrugò la fronte, quel nome non gli era nuovo. Guardandolo meglio gli sembrava anche di averlo già visto. Ma dove? Quando? Cercò di fare mente locale, poi ricordò.

“Due mesi fa eri su questa piazza?” chiese Trevor.

Lui fece si con la testa.

“Era la tua voce quella alla radio quando l’elicottero è precipitato?”

“Proprio la mia!” disse, “E per due mesi mi hanno dato la caccia perché avevo scoperto dettagli sull’incidente.”

Elena afferrò l’uomo per il colletto: “Cos’hai detto?”

“So di chi è la colpa per tutto questo casino.” disse alzandosi a sedere.

All’alba.

“Comando, mi sentite?”.

Rumore di statica, fruscio.

Avanti Alpha! rispose una voce.

“Devo parlare con il Colonnello Stewart, è urgente!”

Niente nomi, soldato! Comunque ci sta parlando ora: deve farmi rapporto Tenente?

Alpha 1 si bagnò le labbra, poi guardò i compagni vicino a lui. “Posso parlare tranquillamente, Signore?”

E’ una frequenza sicura, non ci ascolterà nessuno Tenente!

“Abbiamo qui con noi un superstite, si chiama Cristiano Turri. Il cognome le dice qualcosa?”

Per alcuni minuti non ci fu risposta. Il Team Alpha era tutto intorno al tenente, in attesa. Il Team Omega, invece, era appostato all’angolo opposto. Il sole stava sorgendo e la temperatura era rigida, quasi due gradi sopra lo zero. Il sergente Trevor Johnson e Julie erano sdraiati a terra e controllavano i movimenti dei pochi infetti visibili.

Julie annusò l’aria, un odore diverso doveva aver attirato la sua attenzione. Guaì un paio di volte, infine emise un ringhio sommesso. Trevor capì che c’era qualcosa che non andava.

m107a1

Senza mettere in allarme gli altri, prese il fucile M107A1 e caricò il colpo in canna. Mise l’occhio nel mirino telescopico e cominciò a perlustrare le colonne che cingevano la parte opposta della piazza. Con movimenti lenti afferrò un telo bianco e se lo mise addosso, indossò un elmetto ricoperto dello stesso colore del telo. Doveva diventare come il marmo su cui giaceva. Regolò il respiro, mentre una scarica di adrenalina gli faceva aumentare il battito cardiaco. Individuò diversi bersagli e non erano infetti. Ancora non avevano notato la sua presenza.

Il Team Alpha era allo scoperto e minacciato da possibili attacchi degli ostili. Inoltre, il giornalista, sedeva vicino a loro.

Trevor indossò microfono e auricolari: “Non fate mosse azzardate, avete un RPG puntato contro!”

“Cosa?” chiese il tenente.

“Proteggete il civile, copritelo!”

Uno sparo partì dal fucile di precisione, Trevor vide il cranio muoversi all’indietro. Una chiazza rosso scuro macchiò una colonna.

“Bersaglio a terra!”

“Team Omega” (Quarta parte)

Roma di notte

Al tramonto.

Le nuvole si erano disperse, Julie era stata recuperata e riportata nella zona sicura. Su Piazza San Pietro era sceso un silenzio inquietante, a cui i sopravissuti dovevano ancora abituarsi. Qualche ombra si muoveva oltre la piazza, su via della Conciliazione. L’illuminazione non funzionava più.

Il Team Alpha si riunì nei pressi dei sensori di movimento, il tenente non era tranquillo.

“Dal comando ci hanno promesso elicotteri da trasporto e due Littlebird per coprirci le chiappe. Cosa ne pensate?” esordì il tenente Conti. Si erano messi in ginocchio per sicurezza, cercando anche di scaldarsi le mani con del tè caldo: a Roma quella notte faceva freddo.

“Ce li faremo bastare, ci sono alternative?” disse Max – Alpha 4 – poi afferrò un sacco a pelo termico e lo mise a terra.

“No, non ci sono alternative. E’ tutto quello che può fornirci il Comando.”

Philip ed Elena Delzi si voltarono verso Trevor e Julie. L’uomo le stava parlando a bassa voce, il cane scodinzolava mentre attendeva che l’uomo le versasse della carne nella ciotola.

“Possiamo fidarci?” chiese Philip.

“Ci sanno fare e oggi hanno fatto un lavoro pulito e veloce. Mi hanno stupito.” Disse il tenente.

Decisero i turni di guardia, alcuni si misero a dormire o almeno ci provarono.

A notte fonda.

Il sergente Trevor Johnson uscì dal sacco a pelo e preparò l’attrezzatura. Scelse la balestra con dardi, un’arma silenziosa e letale. Si mise il corpetto in Kevlar mentre Julie lo fissava silenziosa. Era notte, ma una tenue luce lunare rendeva le cose visibili, almeno i contorni.

“Sei pronta Julie? E’ il nostro turno!”. Il cane si mise seduto, era sempre felice di stare accanto a Trevor, qualsiasi cosa dovessero fare assieme. Indossò l’imbragatura e la mise al cane.

“Non penserai mica di scendere!”. La voce era bassa per non svegliare gli altri e fece voltare di scatto il sergente. Elena Delzi gli sorrise, sperava di non averlo spaventato: “Gli ordini sono di presidiare la piazza in sicurezza, non possiamo mostrarci a nessuno finché la zona non sarà sicura!”.

Trevor tornò a fissare un punto di via della Conciliazione, monitorandolo con un binocolo termico. “Perché non dai un’occhiata?”.

La donna prese il binocolo e guardò nella stessa direzione ed esclamò: “Non è infetto!”. Rimase per una decina di secondi ferma, valutando come procedere. I colori del display erano accesi, il corpo del tizio che stavano spiando era caldo: almeno trentasei gradi.

“Io devo scendere giù, tu fa come vuoi ma non provare a fermarci!”. Prese Julie in braccio e se l’agganciò all’imbragatura. Iniziò a scendere, puntando i piedi sulle colonne sporgenti. Julie non protestava, restava solo ferma e si guardava intorno.

“Forse ti serve questa!” e gli mostrò la balestra con i dardi, “Scendo giù con te. In due sarà più sicuro!”

“Siamo già in due!” disse Trevor a denti stretti, “Poi ho con me pistola e mitra.”

Lei indossò un’altra imbracatura, senza togliere gli occhi dal sergente: “Quanto siete testardi voi uomini!” disse come se lo dicesse a sé stessa.

Gli anfibi toccarono i sampietrini della piazza, poi la corda rimase penzolante mentre Trevor e Julie si immobilizzarono e rimasero in ascolto. Non dovevano provocare rumori, non dovevano attirare l’attenzione di nessuno. Elena li raggiunse dopo alcuni minuti e si mise a terra, occhi puntati su via della Conciliazione. Era tutto immobile e silenzioso, a parte qualche raffica di vento che trasportava puzza di morte e decomposizione. La luce della luna li poteva aiutare a intravedere qualcosa.

Corsero schiena bassa fino al perimetro delimitato dalle ringhiere. Si appostarono dietro alle strutture in marmo e, da lì, il tizio nascosto si vedeva bene con i visori notturni.

“Come richiamiamo la sua attenzione?” bisbigliò Elena.

“Con il laser del mirino!”

“E se fosse infetto?”

Trevor sospirò: “Lo abbatterò prima che diventi come quelle cose lì!”. Via della Conciliazione non era proprio sgombra. Alcune sagome erano immobili, altre si muovevano lentamente strascicando i piedi ma senza emettere un suono.

“Sei pronta? Quando gli avremo fatto capire che siamo qui e siamo vivi, dovremo dargli massima copertura e fare il minimo rumore, o ci piomberanno tutti addosso!”

Elena esitò a rispondere, però non tolse gli occhi di dosso da quello che poteva essere un sopravvissuto.

Julie

Trevor imbracciò l’arma – un FnF2000 – e accese il mirino laser. Inquadrò il bersaglio senza premere il grilletto: vedeva il polpaccio mentre il corpo era nascosto da una cabina telefonica. Una ventina di metri li separava, senza alcun posto dove nascondersi. Con il mirino andò oltre e, quella luce rossa, finì sulla parete che gli stava di fronte. Adesso doveva vederla per forza.

Il tizio si mosse adagio e ruotò la testa verso San Pietro: doveva aver visto il laser. Trevor ed Elena indossarono di nuovo i visori, i corpi immobili si vedevano in maniera chiara. Gli occhi emanavano un bagliore che metteva i brividi persino a Trevor. Il suo motto è sempre stato: meglio affrontarli di giorno che di notte!

L’uomo fece dei gesti con le mani poi si mise in ginocchio e si mosse verso la parete più vicina.

“Stai pronta! Adesso viene il bello!” le disse Trevor. Tutti e due erano sdraiati a terra, Julie era con loro e non muoveva un solo muscolo.

“Team Omega” (Terza parte)

Team Omega3

Due ore prima.

In un hangar fatiscente si svolgeva un importante briefing. L’edificio sembrava quasi abbandonato, per quanto fosse sporco e gli mancassero gli infissi alle finestre montate quasi vicino al tetto.

Il colonnello John Stewart – a capo del R.R.S. – afferrò un microfono e una tromba acustica. Il congegno emise un suono acuto, fastidioso, e il microfono l’amplificò per tutto l’ambiente. La gente, quasi una cinquantina di persone, si ammutolì.

“E’ quasi più facile attirare l’attenzione di un’orda di infetti, che un branco di signorine come voi!” disse.

Molti risero. L’uomo in mimetica militare attese qualche attimo, poi si presentò: “Sono il colonnello Stewart e rappresento il Reparto Ricerca e Soccorso”. Fece segno a Trevor e Julie di farsi avanti, poi salirono su una pedana messa in fondo all’hangar e la gente li vide.

“Siamo stati chiamati per aiutare la popolazione di Roma, almeno quelli che ancora siano in grado di respirare e parlare”.

“Perché non usare l’esercito, che è già posizionato intorno alla città?”.

Il colonnello guardò in mezzo alla gente: “Si identifichi!”.

“Si signore! Tenente Alfredo Conti, Team Alpha”.

L’ufficiale in comando sorrise guardando chi aveva di fronte: “Si riferisce all’unità appena messa in piedi?”. Il tenente si rimise seduto.

“Vede, Tenente, lei non è al corrente di quello che succede in città. Del resto pochi di voi lo sanno. Roma è sottoposta a quarantena: nessuno entra, nessuno esce!” disse appoggiando le mani su un tavolo piazzato sopra la pedana. “Gli infetti sono milioni e noi riusciamo a malapena a impedirne la fuga.”

Un proiettore venne acceso e alcune foto vennero mostrate sulla parete dietro al colonnello. Immagini fotografate dall’alto di Via della Conciliazione, poi San Pietro e l’estesa piazza.

“Abbiamo motivo di credere che ci siano centinaia di persone abbandonate a loro stesse. Il nostro compito sarà quello di trovarle, controllare che siano sane e portarle in salvo”. Il proiettore si spense e lui continuò: “Ogni persona che riusciremo a salvare, sarà un bersaglio in meno da abbattere. Se Roma dovesse cadere, l’intera Europa verrà dilaniata dall’infezione!”.

Il tenente alzò la mano, poi si mise sugli attenti: “Cosa mi sa dire riguardo a chi ha propagato questo flagello?”.

“Il maggiore sarà felice di risponderle in privato. Adesso preparate armi e attrezzature, un elicottero vi sta aspettando.”

Tutte le persone all’interno dell’hangar si alzarono in piedi, mettendosi sugli attenti.

“Team Alpha!” disse il colonnello osservandoli per un attimo, poi guardò verso il sergente e il suo cane: “Team Omega”, Julie drizzò le orecchie come se l’avessero chiamata per nome, “Siete la nostra ultima risorsa. Che Dio vi protegga!”.

Adesso.

Julie scese verso l’obelisco, mentre il tenente Conti azionava il freno per non farle prendere troppa velocità. Trevor fissò il treppiedi sotto il suo M107A1 e lo piazzò a terra. Fece un movimento fluido, veloce, guardò attraverso il mirino telescopico.

“Quando vi dirò di tagliare il cavo, voi fatelo!” disse agli altri.

Una raffica di colpi singoli abbatté cinque infetti, quelli più vicini a Julie prima che giungesse all’obelisco.

“Ma se tagliamo quel cavo, perderai il tuo cane. Lo faranno a pezzi!” disse incredulo il tenente.

Altri colpi di fucile si dispersero per la piazza, gli infetti cadevano a terra. Fluidi, sangue e pezzi di cervello si sparsero per la piazza. Trevor non staccava l’occhio dal mirino, tratteneva il respiro finché un altro proiettile non usciva dalla canna. Un’altra sequenza di tre colpi e cambiò il caricatore.

“Tagliate! Ora!”.

Giulia Delzi recise il cavo e Julie si defilò lungo la piazza, evitando i mostri più vicini. Lei correva e abbaiava, attirando dietro di sé altre creature che infestavano Piazza San Pietro.

I membri del Team Alpha osservavano ammutoliti, mentre Trevor proseguiva il capillare lavoro di pulizia.

“Così la circonderanno!” affermò Philip in tono apprensivo.

Trevor aprì una tasca del suo giubbotto in Kevlar e tirò fuori un fischietto, che si portò alla bocca. Emise un fischio lungo e vide Julie afferrare con la bocca una carica di C4. La lasciò cadere a terra allontanandosi. L’auto innesco si azionò e, dopo dieci secondi, la carica esplose dilaniando una decina di infetti.

“Che razza di strategia!” affermò il capo Team Alpha.

Trevor svuotò l’ennesimo caricatore e contemplò il lavoro terminato. Julie corse verso l’obelisco, saltando i cadaveri che tappezzavano quel luogo. Si mise seduta, la lingua le penzolava da una parte, e attese di essere raggiunta.

Il tenente comunicò via radio l’esito della prima parte dell’operazione. La pulizia era terminata, adesso si passava al contenimento.

Julie 4

“Team Omega” (Seconda parte)

Team Omega2

Il paracadute si aprì a trecento metri sopra il livello del mare, Julie se ne stava immobile, come a ogni lancio a cui aveva partecipato. Indossava degli occhiali speciali, così il vento non le avrebbe dato fastidio agli occhi. Julie non soffriva durante i lanci, anzi sembrava le piacesse osservare quelle cose dall’alto.

“Comando, questo posto non doveva essere libero?” chiese il sergente Trevor Johnson.

Dall’auricolare gli giunse la risposta: In effetti lo era, almeno prima del rumore del vostro elicottero! Gli infetti ne vengono attratti.

Trevor si guardò intorno, afferrò i cordini per spostarsi verso un punto alto e sicuro e attese di toccare terra. L’atterraggio fu piuttosto morbido, nonostante il peso del cane lo mandasse giù a velocità sostenuta. Toccò terra sopra il colonnato di San Pietro e slegò Julie dall’imbragatura.

Dieci secondi dopo giunse anche il Team Alpha al completo. Ripiegarono i paracadute e l’immobilizzarono a terra.

“Quanto adoro questo lavoro!” esordì Philip – Alpha 3. Per radio non avrebbero pronunciato alcun nome di battesimo, solo quelli in codice. Nessuno era a conoscenza del loro arrivo a Roma.

Il Team Alpha si sparpagliò lungo la zona sicura, quindi raggrupparono sacche e borsoni che si erano portati dietro. Trevor si mise sul margine di quella terrazza, ginocchio a terra, e perlustrò la piazza con un binocolo.

“Dio, quanti sono!” disse. Julie gli stava accanto, posizione della sfinge, e osservava quello scempio che una volta veniva chiamato Essere Umano. Ne contò a decine di infetti.

Philip ed Elena Delzi – Alpha 2 – disposero dei sensori di movimento nella parte più vicina alle stanze del Vaticano. Non volevano sorprese, né che il perimetro fosse violato da un solo infetto. Il campo base doveva essere un posto sicuro. Il Team Alpha era una squadra mista, composta da due italiani e due americani. Questi ultimi conoscevano bene la lingua del paese che li ospitava. Il loro primo obiettivo: proteggere il Team Omega a costo di perdite ingenti.

“Va bene!” disse Alfredo Conti – Alpha 1 e capo squadra – “Facciamo il punto della situazione”. Gli altri tre membri lo raggiunsero nei pressi delle sacche e dei borsoni.

“Questo posto deve restare sicuro, non possiamo permetterci stronzate!” continuò.

“Perché dobbiamo fare da babysitter a quei due?” chiese Philip fissando il sergente e il suo cane. Trevor non lo degnò di uno solo sguardo, sapeva di non andare a genio a gran parte dei membri dell’altra squadra, così preferiva pensare a quello che avrebbe fatto con Julie di lì a poco.

“Perché è il nostro obiettivo primario e indiscutibile!” gli rispose prendendo uno zaino. Afferrò una cinghia e urlò verso il sergente: “Hei, credo ti appartenga!”.

m107a1

Trevor l’agguantò al volo e l’aprì esaminandone il contenuto. Accarezzò per alcuni istanti Julie, che scodinzolò felice per le attenzioni, poi tirò fuori l’attrezzatura: un fucile di precisione M107A1, un mitra FNF2000, un XM25 (lancia granate) e una balestra in lega leggera. Dispose tutto a terra e controllò munizioni e frecce per la balestra. I membri dell’altra squadra lo osservavano senza fare commenti.

“Julie, vogliamo mostrare a tutti come si ripulisce una piazza?” chiese posizionando un treppiede sul marmo bianco del colonnato. Il cane scodinzolò e abbaiò come per risposta, finché tornò a fissare la piazza e tutte quelle cose che la calpestavano.

Fissò la balestra al treppiede e la caricò con una freccia in alluminio rinforzato. Puntò col mirino verso l’obelisco e schiacciò il grilletto. La freccia fendette l’aria con un sibilo, finché si conficcò nel marmo. Una fune in acciaio si tese discendendo fino all’obelisco della piazza. Tutto questo movimento provocò una sorta di eccitazione negli infetti, e molti si girarono verso la fonte del rumore. I lamenti, o quegli strani versi che emettevano, si fecero più forti.

“E tu vorresti calare il tuo cane laggiù?” fece Philip incredulo.

Julie 3

Trevor mise una nuova imbragatura a Julie, che appariva concentrata per quello che stava per iniziare. Non era la stessa che aveva indossato durante il lancio, ma aveva delle imbottiture sul dorso. Le zampe le avrebbe avute libere per correre e muoversi senza impedimenti.

Trevor si voltò verso Philip sorridendogli: “Le cariche di C4, per favore!”.

Philip gliele passò senza fiatare. Trevor si mise in ginocchio di fronte a Julie e le fece annusare le cariche di esplosivo. Il cane si mise seduto e attese che il conduttore le infilasse nelle apposite tasche. Julie sapeva cosa doveva fare, l’aveva fatto centinaia di volte e le piaceva. Trevor le accarezzò la testa e le diede un bacio sul naso umido, lei contraccambiò leccandogli la faccia.

“Ai cani si può insegnare quasi tutto, l’importante è che lo prendano come un gioco!” disse Trevor ai membri del Team Alpha. Poi tirò fuori dalla sacca una carrucola fatta di una lega resistente e la fissò all’imbragatura.

“Sei pronta principessa?”. Julie abbaiò un paio di volte.

“Allora mettiamoci al lavoro!”. Agganciò la carrucola al cavo di acciaio, Julie rimase sospesa a decine di metri d’altezza, infine la lasciò scivolare verso l’obelisco.

L’Operazione Piazza Pulita era cominciata in quel preciso istante.

“Team Omega” (Prima parte)

Truppe Speciali Cinofile

Roma – domenica 7 dicembre 2014 – Ore 16 circa.

 

     Mi trovo ai margini di Piazza San Pietro, all’altezza di Via della Conciliazione, e l’afflusso di pellegrini è costante. Fa freddo a Roma, è molto nuvoloso anche se per oggi non sono previste precipitazioni. Il Pontefice sta per affacciarsi alla finestra, la folla aspetta da molte ore e sembra ci sia del movimento! Forse sarà questione di minuti.

     Vedo un elicottero che sorvola la piazza. Tra mille voci intorno a me e quell’elicottero, spero possiate sentirmi bene.

     No, non mi sembra della polizia, piuttosto un elicottero privato. Forse sono colleghi che fanno riprese dall’alto.

Il collegamento tra il giornalista e la regia cadde. Una voce disse: Ci scusiamo per l’interruzione a causa di problemi tecnici, stiamo provvedendo a richiamare il nostro corrispondente. Sarà questione di minuti.

Per radio mandarono degli spot pubblicitari.

I media, riguardo quel giorno, scrissero che si era trattato di un incidente: un elicottero si era schiantato su Piazza Risorgimento, riuscendo ad evitare una strage di centinaia di pellegrini in Piazza San Pietro. Le due piazze distano un paio di centinaia di metri e, le vittime, furono solo nove e decine di feriti soccorsi da ambulanze che stavano già in zona.

Quel pomeriggio, chi era a Roma, non se lo sarebbe più scordato.

Il boato si disperse, le fiamme dilagarono ed un fumo denso salì nel cielo. Decine di persone filmarono l’attimo in cui tutto avvenne. Lo schianto e l’edicola che venne semi distrutta dal rotore di coda. Il corpo centrale si era inclinato e spaccato in due tronconi. Alcuni sopravvissero e furono tratti in salvo.

I feriti erano in stato di shock, qualcuno era riuscito a filmare le loro ultime parole mentre venivano adagiati sulle barelle.

“Ci hanno morsi!” gridava uno di questi. C’erano ferite su gran parte dei corpi. Tagli profondi, ustioni e lacerazioni che potevano essere compatibili a dei morsi. Ma tutti i soccorritori non gli avevano creduto.

Polizia e carabinieri avevano allestito un perimetro intorno alla piazza. I curiosi vennero allontanati, in attesa del reparto scientifico che avrebbe dovuto investigare sulla causa dell’incidente.

A Roma, in zona Prati, si cercava di tornare alla normalità nel più breve tempo possibile.

Un uomo passeggiava lì in quei momenti di paura e panico. Appena aveva visto l’elicottero iniziare a girare su sé stesso, era corso sul marciapiede opposto. Non era solo, con lui c’era Julie (un pastore tedesco femmina di due anni) e fu lei a comunicargli che c’era qualcosa di sbagliato in quell’incidente: iniziò a guaire, a cercare di trascinarlo oltre la piazza in cerca di un riparo sicuro.

Trevor Johnson era un americano trasferito a Roma da un paio di giorni. Aveva il grado di sergente e faceva parte dell’esercito, tuttavia non era un soldato qualunque. Il gruppo a cui faceva riferimento si chiamava R.R.S. – Reparto Ricerca e Soccorso. Era un’ala dell’esercito che pochi conoscevano e lo stesso sottufficiale a poche persone doveva rendere conto. E, se il Comando aveva scelto lui, voleva dire che c’era qualcosa che non andava a Roma.

Decine di minuti dopo lo schianto, Trevor aveva ricevuto un messaggio sul telefono: Si presenti fra un paio d’ore in piazza, quella dove è avvenuto lo schianto dell’elicottero. Non venga solo, porti con sé anche Julie.

Trevor fece come gli era stato chiesto, così si presentò davanti ad un paio di poliziotti e gli mostrò un tesserino e il passaporto. Varcò le transenne con Julie che annusava l’aria, passando poi ad alcune chiazze scure sui sampietrini della piazza.

Due mesi dopo.

Elicottero da trasposrto

Julie 2

Roma era deserta, silenziosa. Un elicottero militare da trasporto, un CH47C Chinhook, sorvolava il centro della città facendo più passaggi su una zona precisa: Piazza San Pietro.

“Signore, ci stiamo posizionando per il lancio!” disse uno dei piloti. Trevor Johnson alzò il pollice in alto, poi accarezzò Julie che sedeva al suo fianco. Dovevano solo aspettare che si fosse accesa la luce verde, e lui, Julie e un altro gruppo di quattro uomini si sarebbero lanciati. A bordo c’erano attrezzature e armi della massima importanza per l’esito della missione.

Luce verde.

Trevor Johnson si alzò in piedi, gli legarono al torace Julie che non sembrava affatto impaurita, poi si diresse verso il portellone già aperto. La squadra Alpha era dietro di lui, preparata e pronta per la discesa.

L’elicottero si mise in volo di stazionamento, poi il vento s’introdusse all’interno della carlinga.

“Signori, buona fortuna!” disse una voce agli auricolari.

L’Operazione Piazza Pulita aveva inizio in quel momento.