“Codice Rosso” 3° Parte

 

“Cristo, Capo, che cosa sono quelle cose?”, la voce risuonò negli auricolari del Capo Team Alpha, come una domanda di chi non voleva credere a quello che vedeva. Eppure, nell’orrore agghiacciante, tutti vedevano un’orda di cose che ora poco aveva di umano: giusto le sembianze.

“Tu pensa a sterminarle tutte, quelle cose, cazzo!”.

“Aprite il fuoco, non lasciatele passare!” gridò qualcun altro.

Angelo Comi non riuscì a capire chi avesse parlato, ma poco importava. Una pioggia di bossoli cadde sui sampietrini della piazza e un rumore assordante di spari echeggiò fra le pareti dell’università cattolica. Poi ci furono diverse detonazioni: granate a frammentazione.

I primi ad essere annientati furono i mostri più vicini alla linea di fuoco, che caddero in terra come sacchi di spazzatura. Gli altri, quelli più lenti, inciamparono sui cadaveri in maniera goffa, senza cercare di ripararsi dall’urto della caduta e vennero raggiunti da altri proiettili.

Cessarono il fuoco e calò un silenzio che quasi stordiva le orecchie di tutti. Poi, il capo del primo Team, si ritrovò a pensare a quella dannata fiala e ad una frase che diceva sempre suo padre: “E’ sempre stato così: tutto comincia dalle cose più semplici e piccole!”.

Sorrise all’interno del passamontagna e della maschera facciale, quanto gli sembrava azzeccata questa specie di proverbio.

Gli uomini del Team Alpha erano tutti vicino al loro capo e stavano osservando lo spettacolo raccapricciante: decine di corpi inermi che giacevano a terra, braccia e gambe macchiati di sangue, cadaveri che non si sarebbero dovuti rianimare, eppure proprio questo processo da narrativa e film horror giaceva sotto i loro increduli occhi.

“Sembra che sia tutto finito!” osservò David Dinolfi. Imbracciò di nuovo l’arma e controllò il caricatore, infine se la portò sulla spalla come se il lavoro in quel posto fosse terminato.

“Anche se quei mostri fossero finiti, abbiamo un sacco di lavoro da fare!” disse Roberto Calvi, Alpha 4. Si guardò intorno esaminando il cadavere di una bambina che avrà avuto dieci anni e, d’istinto, si tolse la maschera anti gas ma si lasciò elmetto e passamontagna.

“Soldato!” disse Angelo Comi, “Rimettiti subito la maschera, è un ordine diretto!” ma finì la frase osservandolo avanzare verso il cadavere più piccolo. Sembrava non lo stesse ascoltando, forse perché non aveva più gli auricolari alle orecchie.

Intanto, i Team Bravo, Charlie e Delta si disposero secondo gli ordini del Protocollo Codice Rosso. Alcuni soldati si dotarono di piccoli serbatoi e spingarde, e presto avrebbero bonificato l’intera zona. La strada che conduceva alla piazza venne chiusa centinaia di metri prima, transennata e costantemente controllata. Nessuno poteva entrare, né uscire fino a nuove disposizioni.

Il capo Team Alpha si affiancò al collega, che stava in ginocchio davanti al piccolo corpo crivellato di colpi. Percepì la sua presenza e disse: “Come diavolo si fa ad uccidere una bambina!”.

Angelo Comi non riuscì a capire se stesse piangendo, ma il tono della sua voce fu flebile, quasi lo avesse detto sottovoce. I suoi anfibi si fermarono nei pressi di un rivolo di sangue, evitò di venirne a contatto: “Era già morta quando le abbiamo sparato.” e gli mise una mano sulla spalla come a dargli coraggio. “Adesso vieni, che dobbiamo terminare il lavoro!”.

L’università venne chiusa e bonificata. I resti della fiala furono prelevati e sigillati all’interno di un contenitore. I responsabili dell’Agenzia avrebbero deciso in seguito se distruggere le prove di quell’Incidente, oppure studiarne la composizione chimica e batteriologica. Comunque nessuno ne sarebbe dovuto venire a conoscenza.

La città di Roma, dopo alcune ore di panico, tornò a vivere la vita di sempre. Sarebbero nate alcune leggende metropolitane, questo era certo, anche se la storia degli Zombie avrebbe fatto ridere chiunque. Qualcuno si sarebbe spacciato per testimone oculare, ma nessuno gli avrebbe creduto: era stata una fuga di gas a provocare quell’inferno e a danneggiare sia la piazza che l’università e la causa del decesso di decine di persone innocenti.

 

“Codice Rosso” 2° Parte

 

La vita per tutti scorreva normale, come se niente stesse per succedere, ma non per gli occupanti dei mezzi militari. Le vie del quartiere di Borgo, a Roma, brulicavano di persone, di turisti e residenti. C’erano molte attività aperte, un brulichio sommesso per le strade, mentre quattro jeep militari facevano ingresso in quella zona.

La gente si fermava e osservava incuriosita il passaggio di quelle jeep, con tanto di mitragliatrice montata sul tettino del mezzo. Qualcuno aveva azzardato che dovessero girare qualche scena di film in zona, magari un film d’azione che andavano per la maggiore.

Cristiano Cosimo, Alpha 2 nel Team Alpha, si occupava dell’armamento pesante e delle munizioni per gli altri membri della squadra. Era il più giovane del gruppo, ma in Pakistan, quando dovevano eliminare il bersaglio più importante della missione, non aveva avuto alcuna esitazione. Freddo e determinato, come dovevano essere tutti i membri del Team Alpha. Persino Angelo Comi ne era rimasto soddisfatto. Al capo Team Alpha gli piacevano le reclute che dimostravano coraggio e freddezza nella prima missione a cui partecipavano. Non che lo avesse preso sotto l’ala protettrice, questo no, ma era certo che Alpha 2 fosse salito due gradini sopra la scala di gradimento nei suoi confronti.

“Capo, ma davvero crede che succederà quello che hanno detto al breafing?” chiese Cristiano stringendo in mano la canna del mitra.

“Siamo qui per fermare qualsiasi tipo di contagio!” rispose il capo Team. La sua voce risultò fredda e determinata anche per il resto del gruppo, che si girò a fissarlo mentre auto parcheggiate e persone sfilavano ai lati della jeep.

Nessuno aggiunse nulla, mentre la radio di bordo gracchiava per la statica dopo un messaggio del comando centrale. A tutte le squadre, pronti all’ingaggio! Abbiamo la certezza assoluta che la fiala è stata rotta e il liquido ed il gas si sono sparsi nell’aria.

“Cazzo!” mormorò Angelo Comi.

David Dinolfi, Alpha 3, disse: “Quei coglioni si sono dimenticati di dirci quali sono le regole d’ingaggio!”.

Roberto Calvi, Alpha 4, estrasse il caricatore dal mitra, ne verificò il contenuto e lo rimise nell’alloggio. Era senza passamontagna ed elmetto ed il suo viso sbiancò all’istante, alcune gocce di sudore apparvero sulla fronte. “Ma come cazzo si fa, capo, Roma è piena di gente e…”.

“Tu pensa ad eseguire gli ordini del comando e quelli che ti darò io, per il resto non ti devi preoccupare. La gente se la caverà e, quando sentirà i primi spari, vedrai che si rifugeranno in qualche buco in attesa di istruzioni.” gli rispose senza guardarlo.

I quattro Humvee percorsero una via stretta e superarono un incrocio senza rallentare: un motorino quasi si schiantò su una macchina parcheggiata pur di evitarli. Giunsero davanti ad una piazza piccola e circoscritta: lì non c’erano vie di fuga se non quella stessa strada da cui erano venuti.

“Va bene, gli ordini sono di mettere i passamontagna, le maschere e gli elmetti! Presidiate la zona: che nessuno esca ed entri!” disse l’autista del mezzo.

Angelo Comi impartì di nuovo gli ordini ai suoi uomini, lasciando sul mezzo Alpha 5, al mitra piazzato sul tetto del mezzo. Così fecero anche le altre squadre.

Tutti gli uomini dei Team scesero dalle jeep, gli anfibi che toccavano i sampietrini producevano dei rumori sordi per via dell’eco della piazza, e la zona, stranamente, risultava troppo silenziosa.

Angelo Comi si guardò intorno, mentre stringeva in braccio l’arma carica ma in sicura. L’edificio principale aveva l’ingresso aperto, una bandiera italiana sventolava per la brezza della sera, i rami degli alberi si muovevano leggermente.

Si trovavano di fronte ad un’università cattolica.

Si dispiegarono lungo il perimetro della piazza, davanti a loro c’era una lunga siepe e, al centro di essa, una fontanella in marmo. Per accedervi c’erano due rampe di scale e il capo Team Alpha pensò subito di sfruttarlo a proprio vantaggio, ci avrebbe fatto montare un mitra con cartucce a nastro.

“E da lì” disse alla sua squadra, “avremo fuoco di soppressione in caso di problemi! Ci sono domande?”.

Nessuno ne fece, anche se miliardi di domande vorticavano nelle loro menti.

I capi squadra si riunirono dietro le jeep e vi rimasero per diversi minuti: c’erano le direttive del Comando che andavano fatte rispettare ad ogni costo. Alcuni uomini si erano spinti oltre la siepe, perché l’ingresso dell’università era aperto, ma non sembrava esserci movimento all’interno.

Qualcuno aveva gridato, ma il suono della voce era pervenuto agli auricolari dei soldati. “C’è un civile a terra!” aveva avvisato subito dopo. Il militare apparteneva al Team Charlie: si era inginocchiato al fianco del corpo, lo aveva voltato controllandogli il battito cardiaco.

“E’ morta!” disse ai colleghi. Si trattava di una ragazza, probabilmente una studentessa che si era seduta su una delle panchine in marmo. Ipotizzarono che fosse morta per un attacco cardiaco, o chissà cos’altro.

Angelo Comi controllò il cadavere e diede ordine di portarlo via ai suoi uomini, in attesa di un’unità militare che lo prendesse in consegna. Erano le 18:13 quando iniziò a degenerare tutto in caos e orrore.

Gli occhi della ragazza si aprirono, le braccia si mossero in uno spasmo, poi le gambe come se avesse un attacco di convulsioni. Il capo Team Alpha cadde a terra per lo spavento.

Fu tutto così veloce ed imprevedibile.

La donna si mise seduta, indossava jeans e una camicetta bianca, un reggiseno nero si vedeva attraverso il tessuto della camicia. Aveva un viso bello, lo aveva avuto prima del decesso, ma ora era pallida come un cadavere e gli occhi… gli occhi avevano perso il colore naturale, adesso erano opachi.

“Ma come cazzo fa…” disse qualcuno alle spalle di Angelo Comi, aveva parlato nel microfono messo all’interno della maschera.

Angelo Comi fu aiutato a rialzarsi, mentre la ragazza stava ancora seduta a terra e cominciava a guardarsi attorno. Posava lo sguardo su di lui, poi sui colleghi che gli stavano vicino.

Cristiano Cosimo, il più giovane della squadra, si affiancò al capo Team: “Ma non era morta?”.

Lui si voltò verso l’interlocutore, s’intravedevano appena gli occhi dalla maschera, “Quella ragazza è morta!”.

“E allora che cazzo ci fa seduta?”.

Il capo Team Alpha non gli rispose, tolse la sicura dal suo mitra M4A1 e lo puntò sulla ragazza, mirando alla testa.

Qualcuno tentò di fermarlo parlandogli via radio. Nessuno era certo che fosse morta e adesso tutto sembrava tranne che priva di vita.

Udirono delle urla provenire dall’edificio dell’università, così tutta l’attenzione si spostò verso l’ingresso aperto. “E adesso?” disse qualcuno. Si misero tutti in allarme, caricando le armi concentrandosi sul nuovo problema.

La ragazza si mise in ginocchio muovendosi adagio, come se tastasse il terreno sotto di lei, fissò un soldato che gli voltava le spalle e si mosse nella sua direzione. Le mani afferrarono una gamba e strinsero forte finché la bocca arrivò al polpaccio.

L’urlo del soldato giunse in tutti gli auricolari, nessuno lo avrebbe dimenticato per un pezzo, era un misto di sorpresa, dolore e paura.

Angelo Comi reagì subito. Colpì la donna con il calcio dell’arma, proprio sulla guancia sinistra, scaraventandola ad un paio di metri dal soldato. Aveva la bocca sporca di sangue e una ferita al viso, forse anche qualche frattura. Aveva perso qualche dente che giaceva sui sampietrini della piazza.

Non esitò più e le sparò due colpi al petto. Altro sangue uscì dalla nuova ferita, ma la donna non rimase a terra immobile, tutt’altro. Il suo sguardo si posò su Angelo Comi e digrignò i denti sputando altro sangue sulla camicia già macchiata.

“Sparate alla testa!” urlò qualcuno.

Angelo Comi appoggiò il calcio dell’arma alla spalla e prese la mira. Sparò un solo colpo colpendola in fronte. La donna si adagiò a terra e rimase immobile. Una chiazza di sangue si allargò sul pavimento della piazza.

Calò un silenzio surreale per alcuni attimi, poi ci fu movimento all’ingresso dell’università. Le luci pubbliche si accesero provocando un ronzio sommesso e la piazza fu inondata da una luce arancione. Decine di ombre apparvero sulle pareti interne del landrone, poi udirono dei lamenti misti a ringhi. Videro decine e decine di persone accalcarsi verso l’uscita, ma c’era qualcosa che non andava.

 

“Codice Rosso” 1° Parte

Quando all’inferno non ci sarà più posto, i morti cammineranno sulla terra!

Roma – 21 maggio 2012 – Via della Conciliazione

Angelo Comi, oltre a essere un amico di Diego Vorra, era anche un collega. Entrambi appartenevano al Team Alpha, con base nei pressi della basilica di San Pietro.

Su internet c’erano centinaia di blog che parlavano della data odierna, anche molte radio emittenti ne avevano dato ampia visibilità rendendola più celebre. A lui sembravano delle grandi stronzate. Non ci credeva all’inizio dell’Apocalisse, che molti ritenevano coincidesse con quel preciso giorno.

E lui quel giorno era in permesso.

Si era vestito in abiti civili, indossando un paio di jeans, una camicia azzurra e un paio di scarpe comode. Aveva deciso di prendersi un caffè al bar all’angolo, quando ricevette una telefonata. Il numero, come immaginava, era privato.

Una voce maschile gli disse: “Diego Vorra è compromesso! Inoltre ha fatto perdere le proprie tracce.”.

Angelo non si scompose, appoggiò la tazzina sul bancone e uscì dal locale ascoltando cosa aveva da dirgli.

“E’ scattato il Codice Rosso” aggiunse la voce, “non appena tre cadaveri sono stati rinvenuti nei laboratori e la fiala è scomparsa!”.

Si fermò all’incrocio e si mise gli occhiali da sole: quel giorno faceva caldo a Roma.

“Con cosa abbiamo a che fare?” chiese.

“Soldato, la cosa non la riguarda. Pensi soltanto ad unirsi al suo Team e a cominciare le ricerche! Ah, il comando del Team Alpha è passato a lei!”.

La telefonata venne interrotta e Angelo Comi rimase fermo sul marciapiede nonostante il semaforo pedonale fosse verde. Non sapeva se essere felice per l’improvvisa promozione, oppure preoccuparsi per il Codice Rosso. Da quando era entrato a far parte dell’Agenzia Angels, non era mai stato diramato quell’allarme. E non era una cosa buona, quando si parlava di Sicurezza Nazionale!

Attraversò Via della Conciliazione e varcò l’ingresso dell’Hotel Columbus. Davanti aveva un giardino ben curato, con fiori e piccoli alberi ad abbellirlo.

Chiamò un ascensore e controllò di essere l’unico ad aspettarlo. Entrò e girò una chiave sotto la pulsantiera: questa girò su sé stessa rivelando altri tre tasti. Schiacciò il numero tre e l’ascensore scese di tre piani.

Percorse un lungo corridoio illuminato da lampade al neon. Non era solo, ma c’erano molti colleghi vestiti in divisa d’assalto. Erano tesi, si stavano preparando per un’altra missione.

Un lampeggiante rosso illuminava parte del corridoio.

Entrò all’interno di una stanza contrassegnata dallo stemma del suo Team.

Iniziò a preparare l’attrezzatura in dotazione, prima di vestirsi con la divisa d’assalto.

* * *

Il briefing cominciò alle 16:00, in una sala grande e arredata da un lungo tavolo e un telo per eventuali proiezioni. Una mappa dettagliata di Roma era affissa ad una parete.

Nessuno parlava, non volava nemmeno una mosca, mentre tutti gli occhi erano puntati sul loro comandante. Le zone da controllare erano molte, ma si pensava che il soggetto fosse rimasto nelle vicinanze per attuare il suo devastante piano.

Lo volevano vivo e incolume, perché non potevano permettersi che quella fiala perdesse anche una sola goccia del suo contenuto.

“Le forze dell’ordine sono state allertate: hanno una foto e un profilo del soggetto.” disse Amedeo Corsi, il comandante delle quattro unità.

Qualcuno alzò la mano e gli fu permesso di parlare: “E’ la prima volta che facciamo una sortita in città, in assetto da battaglia. Non spaventeremo la gente?”.

“I satelliti stanno frugando le vie del centro di Roma, due elicotteri hanno cominciato una ricerca minuziosa. I nostri analisti stanno cercando di prevederne le mosse. Se quella fialetta dovesse perdere il contenuto, signori miei, non basteranno tutte le nostre armi per fermare il disastro che ne conseguirà!”.

L’uomo guardò ogni capo squadra presente nella sala, gli sguardi cupi, pensierosi. Aggiunse: “Interverremo non appena avremo il più piccolo spiraglio di catturarlo!”.

“Signori, vi voglio pronti in ogni istante. Questa missione ha un’importanza che nemmeno immaginate. Aggiungo anche che il Codice Rosso non è stato mai diramato fino ad oggi. Tenetelo bene a mente.”.

I capi squadra tornarono dai loro Team e attesero la chiamata.

La stanza del Team Alpha era abbastanza capiente per contenere armadietti, brande a castello e un tavolo. C’era spazio per riposare, oppure rilassarsi.

Erano in cinque e Angelo Comi aveva cercato di rispondere a tutte le domande che gli furono fatte. Certo, alcune volte era stato evasivo, ma solo perché non aveva risposte nemmeno lui. La più frequente era stata: perché Diego Vorra era diventato un disertore? Se lo chiedeva anche lui, ma senza riuscire a darsi una sola risposta.

“Portatevi anche i visori notturni, perché non sappiamo quando ci daranno il via alla missione!” disse Angelo Comi. Il suo zaino tattico era pronto e appoggiato all’armadietto. Le armi – ne aveva due in dotazione – cariche e in sicura. La pistola di ordinanza e il mitra M4A1, comodo e fedele amico nelle missioni.

Si sdraiò sul letto portando le mani dietro la testa. Il Team, prima di ogni missione, si distendeva scegliendo altri nomi per ogni membro della squadra. Per radio non era permesso pronunciarli, tanto meno mostrare il volto fuori dalla base. Erano uomini che avevano una doppia vita, per non svelare chi fossero realmente.

Le loro missioni non venivano mai svelate a nessuno. Proprio com’era successo in Pakistan, nel compound di Bin Laden. Facevano parte, a tutti gli effetti, delle squadre dei Reparti Speciali, anche se appartenevano ad una specifica Agenzia.

“Ci trasporteranno con dei furgoni a blindatura leggera, vetri opachi e antiproiettile. Le squadre di cecchini verranno appostate sui tetti più alti, in modo da darci indicazione. Se il bersaglio è ancora in zona, noi lo staneremo!”.

“Ma non era tuo amico?” chiese David, o Alpha2 per gli altri del Team.

Angelo fece una smorfia, si mise seduto sul letto. “Hai detto bene: era, mio amico. Da quando ha ucciso tre persone e sottratto quella maledetta fiala, è diventato il nostro peggior nemico.”.

“E se quella roba si dovesse rompere?” chiese un altro.

Fece spallucce: “Non ci hanno detto niente al riguardo!”.

Un allarme suonò per tutta la base, gli uomini si alzarono in piedi e corsero agli armadietti. Indossarono gli auricolari, un giubbotto in kevlar e un passamontagna. Misero i caschi dello stesso colore della divisa e presero tutto il materiale in dotazione. Nessuno disse più nulla.

Uscirono nel corridoio e si unirono agli atri: Team Bravo, Charlie e Delta.

Un uomo li spronava a correre, urlava ordini, sbraitava: “Forza, forza, muoversi! I quattro furgoni vi aspettano fuori!”.

La missione cominciò alle 18:00 in punto.

Roma – 21 maggio 2012 – ore 18:00.

Quattro Humvee si parcheggiarono su Via della Conciliazione, i motori accesi e una mitragliatrice montata sulle torrette. Non c’erano i furgoni promessi durante il briefing, ma solo mezzi militari. Alcune ambulanze correvano a sirene spiegate, attraversando quella via e dirigendosi verso le vie del quartiere di Borgo.

Angelo Comi, prima di salire sulla jeep, si guardò intorno. Vide i turisti che si dirigevano verso Piazza San Pietro, i taxi che transitavano per la via, gli autobus pieni. Sembrava una giornata ordinaria, una come tante, ma non lo era affatto.

“Indossate queste” disse l’autista del mezzo, “ma mettetele solo quando scenderete. E’ per la vostra sicurezza!”. Passò ad ogni membro del Team Alpha una maschera facciale con un respiratore: era di colore verde e all’interno aveva un sofisticato congegno radio per comunicare con gli altri uomini.

I quattro Team salirono sugli Humvee e presero posto. Lo fecero velocemente, mettendosi ognuno ai posti assegnati.

 

“La fine di tutto?”

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Un giorno imprecisato di fine aprile 2011 – città di Abbottabad – Pakistan.

Diego Vorra era lucido e impaziente, come gli succedeva spesso durante le missioni che gli venivano assegnate. Aveva trentaquattro anni, molti dei quali passati fra soldati, colleghi ed esercitazioni al limite della fatica umana.

Cinque minuti all’arrivo dell’obiettivo, disse una voce agli auricolari.

Diego alzò il pollice in su, mentre sorrideva ai quattro uomini che gli sedevano vicino. Il Team Alpha era composto da cinque membri, tutti consci della missione che dovevano portare a termine e lui ne era stato messo a capo. Avevano un equipaggiamento standard per missioni notturne: una tuta elastica nera, rinforzata, un giubbotto in kevlar, un passamontagna per celarne i volti, visori notturni e fucili tattici automatici.

I Team Bravo e Charlie li seguivano su altre due jeep. Quindici uomini appartenenti alle forze di sicurezza stavano percorrendo il centro di Abbottabad, ad una cinquantina di chilometri dalla capitale Islamabad, spostandosi verso la periferia della città.

“Capo, fra quanto si staccheranno quelli del terzo team?” chiese il più giovane del gruppo.

Diego controllò la sicura del suo fucile e appoggiò il calcio in alluminio sul fondo dell’auto. Aveva dato ordine di rimanere in silenzio, per non farli deconcentrare: ne andava l’esito della missione più importante a cui avesse preso parte.

“E’ l’ultima volta che parli prima dell’inizio di una missione!” disse in tono secco. Si girò a guardare l’ultimo mezzo che li seguiva e vide che svoltava a destra, seguendo una strada sterrata in leggera pendenza.

Team Charlie si stacca dalla colonna! Procederà per il nuovo obiettivo! Buona fortuna, ragazzi, e attendete la Luce Verde!

Diego Vorra disse al microfono: “Resteremo in attesa!”. Fece altrettanto il capo Team Bravo.

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Le due jeep proseguirono verso l’obiettivo, mentre Diego ripassava a mente il piano messo a punto dai Servizi Segreti Vaticani in collaborazione con quelli italiani. Il nome in codice gli era sembrato strano: Angels or Devils. Gli avevano detto che aveva a che fare con la fine del mondo, o qualcosa del genere.

Ancora non riusciva a credere che stavano andando a trovare la Primula Rossa, il Principe del Terrore. Osama Bin Laden, il terrorista più ricercato al mondo. Le notti precedenti alla missione lo aveva sognato decine di volte, quasi fosse un’ossessione. E nel sogno si rivedeva a correre, appostarsi e poi a sparare decine di proiettili. Conosceva il compound quasi come casa sua. Aveva studiato per giorni ogni piccolo dettaglio, ogni stanza, qualsiasi angolo potesse nascondere delle minacce. Sapeva che non li avrebbero accolti a braccia aperte, ma Osama, in fondo, non era nemmeno il target principale della missione.

Sorrise, mentre le due jeep procedevano verso il punto di raccolta.

I mezzi si fermarono a cento metri dall’obbiettivo, nascosti all’interno di una magione occupata da agenti che controllavano la zona. Dalla parte opposta, nelle vicinanze, c’erano altri occidentali che facevano la stessa cosa. La C.I.A. aveva occupato un’altra costruzione e non sapeva nulla della loro presenza. Diego, durante uno degli ultimi briefing, l’aveva chiamato azzardo, ma lui non aveva nessuna voce in capitolo: doveva solo eseguire gli ordini e farli eseguire agli uomini del suo Team.

Trascorsero mezz’ora in silenzio, al buio e all’interno di una stanza spoglia in attesa di procedere. Erano quei momenti che davano fastidio a Diego. Le armi e l’equipaggiamento erano funzionali e pronti ma, più il tempo passava, più le squadre sembravano innervosirsi. L’adrenalina scorreva, mille congetture venivano formulate a mente. La debilitazione psicologica faceva il suo gioco.

Il silenzio venne rotto da una voce attraverso gli auricolari: Team Charlie in volo sull’edificio obiettivo!

La tensione montò ancora. Il terzo Team, usando dei deltaplani leggeri e silenziosi, doveva raggiungere il tetto e appostarsi in attesa dell’arrivo degli altri dieci uomini.

Diego si alzò in piedi e fece un gesto ai suoi. Finirono di prepararsi. Anche il Team Bravo fece lo stesso. I fucili vennero fissati al giubbotto, i caricatori messi nelle tasche, le armi sparavano colpi silenziati. Nessuno doveva sapere nulla di quello che stava per accadere, tantomeno gli americani.

Team Alpha e Bravo! Luce verde, ripeto: luce verde!

Le due squadre uscirono dalla porta e, correndo, si divisero lungo due percorsi differenti ma paralleli. Dovevano attraversare cento metri di campi, nascosti dall’oscurità della notte. I visori notturni amplificavano qualsiasi fioca luce, permettendogli di vedere quasi fosse giorno.

C’era uno strano silenzio, nessuna macchina girava da quelle parti, solo qualche cane che abbaiava in lontananza. Si mossero chini, fermandosi a tappe e controllando che nessuno li vedesse arrivare.

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Le luci, all’interno del compound, erano ancora accese al secondo e terzo piano. Un muro di cinta – alto quasi quattro metri – impediva di vedere cosa ci fosse dietro.

Diego si fermò a dieci metri dal muro di cinta e si mise in ginocchio, il mitra stretto nella mano destra e chiuse il pugno della sinistra. Gli altri quattro si dispiegarono e attesero il segnale del Team appostato sul tetto.

Lanciarono i rampini e allargarono le corde per salire.

Bersaglio verso di voi, ore 12, disse qualcuno del Team Charlie. Udirono una serie di sbuffi, poi un corpo cadde a terra. Erano ciechi, il muro perimetrale gli impediva di scorgere minacce, ma la terza squadra poteva proteggerli fino all’ingresso.

Diego non aspettò oltre: si arrampicò sulla scala di corda per recidere il filo spinato e aprire un varco per gli altri. Ci impiegarono quasi due minuti per circondare la parte oltre il muro di cinta.

Team Bravo penetrato nella parte ovest, nessuna minaccia in vista!

Il Team Alpha si avvicinò all’ingresso principale, chiuso. Avevano nascosto il cadavere della sentinella in un angolo morto e ora si apprestavano a fare ingresso dalla porta principale.

Forzarono la serratura e…

Mercoledì 11 maggio 2011 – Roma – quartiere Prati.

Osama Bin Laden era morto da oltre dieci giorni: la stampa internazionale aveva raccontato tutto sull’accaduto, oppure solo quello che il governo americano volesse far sapere ai cittadini del mondo. Ma la verità era un’altra cosa. L’agenzia non governativa denominata Angels, con i propri reparti speciali, aveva stanato il terrorista e lo aveva ucciso. Anche le persone che si trovavano all’interno avevano fatto la medesima fine, tutte eccetto tre donne.

Il Team Alpha, una volta eliminati tutti i bersagli, aveva frugato tutto il compound in cerca di un oggetto, una fiala per essere precisi, trovata all’interno del frigorifero situato al terzo piano. Tutto quello che avevano trovato (compresi computer e possibili appunti del terrorista) non gli interessava, lo avrebbero lasciato ai Navy Seals e agli uomini della C.I.A.

Domenico Gianti conosceva la verità, sapeva anche come si erano svolti i fatti. Faceva il giornalista per una rivista locale e doveva incontrarsi con Diego Vorra, per un’intervista.

La porta si aprì e Diego Vorra fece ingresso nello studio del giornalista.

“Buon giorno.” esordì Domenico alzandosi in piedi. Si strinsero la mano e lo fece accomodare dall’altra parte della scrivania.

“Sono felice che abbia accettato di rispondere a qualche domanda.”.

“E’ la prima volta che qualcuno mi vuole intervistare.”.

Il giornalista sistemò sul tavolo alcuni fogli, mise le penne dentro a un bicchiere ricoperto di cuoio. “Prima di cominciare, vuole un caffè, o dell’acqua?”.

“Un caffè lo accetterei volentieri.”.

Un’assistente entrò con un vassoio, infine uscì lasciandoli soli.

“Che lavoro svolge, signor Vorra?”.

“Sono appena entrato in pre-pensionamento, ma forse mi assumeranno come addestratore di reclute presso un’agenzia di sicurezza.”.

“Allora lei era un militare?”.

Diego non rispose subito alla domanda, gli sembrava troppo diretta: “Una specie. Forse il mio lavoro si avvicinava più ai contractor: ha presente quella specie di mercenari che lavorano in paesi medio orientali o africani?”.

“Capisco.”, gli sorrise, “E come va con i suoi colleghi della squadra Alpha?”.

Diego Vorra non riuscì a celare la sorpresa: come diavolo faceva a sapere del suo Team?

Si alzò dalla sedia, ma Domenico aggiunse: “Ha paura che voglia rivelare tutto quello che ha fatto nella sua carriera?”.

L’uomo lo guardò con disprezzo: “Quello che ho fatto durante la mia carriera, qualunque essa sia, non la riguarda.”.

“E della fiala che ha sottratto al cadavere di Bin Laden?”.

“Ma lei come….”.

“Lasci perdere, non le basterebbero dieci vite per capire chi io sia!”.

Diego Vorra si girò per uscire dall’ufficio, ma il giornalista gli afferrò una mano. Il contatto provocò qualcosa che Diego aveva provato per la prima volta in vita sua: un formicolio intenso per tutto il corpo. Aveva visto gli occhi del giornalista, qualcosa di inquietante. Erano neri e luccicavano. No, forse emanavano uno strano bagliore.

Prima di perdere i sensi, Diego Vorra credeva di averlo sentito ridere.

L’ufficio del giornalista rimase immerso nel silenzio per diversi minuti, finché Diego Vorra riprese coscienza e si alzò in piedi. Vide il corpo del giornalista, a terra e immobile. Sorrise e uscì dalla stanza.

Aveva tutte le informazioni che gli servivano per avviare quella catena di delitti che avrebbe annientato l’intera umanità. Si corresse, perché l’uomo sarebbe sopravvissuto vivendo l’inferno in terra. Quanto gli piaceva scegliere i nuovi corpi da possedere, quasi fossero dei vestiti alla moda.

Ora non gli rimaneva che impossessarsi della fiala – senza alcun antidoto – e spargere la nuova peste del ventunesimo secolo: il secolo del male.

Rise, avviandosi verso Via della Conciliazione, dove si trovavano gli uffici degli Angels, in cui custodivano la fiala. Erano al corrente che ci fosse gente in cerca di quel virus, ma non che qualche povero diavolo potesse usare i loro corpi per distruggere il mondo. E Diego Vorra possedeva tutte le schede magnetiche per accedervi.

Bin Laden possedeva un’arma di distruzione di massa, ma non aveva mai avuto il coraggio di usarla, ma lui si.

Il morbo – un batterio in grado di usare l’ossigeno per attaccare gli organismi – si sarebbe moltiplicato nel giro di pochi giorni. Le persone infettate sarebbero morte per la febbre alta, ma il corpo si sarebbe rialzato. Gli atti di cannibalismo si sarebbero moltiplicati, infettando il mondo nel giro di pochi mesi.

L’apocalisse stava per cominciare!