Gloria lo guardò perplessa. Fra i due era quella che più gli dava credito, non solo perché si trattava di suo fratello, ma anche perché non lo aveva mai visto ridotto in quello stato. “Potrebbe trattarsi di un sogno premonitore.” tentò di giustificarlo.
“So che è difficile da credere” disse Stefano. Prese la tazzina di caffè e lo bevve in due sorsi, poi si pulì la bocca con un fazzoletto. “ma ho le prove di quello che succederà questa sera.”
“A quali prove ti riferisci?” chiese Emanuele, anche Gloria parve incuriosita dalle ultime parole.
“Vedete quel gruppo di tende laggiù, oltre l’edicola?”
Entrambi si girarono in quella direzione. Videro parte delle transenne e l’apice delle tende bianche montate in piazza. Da quella distanza potevano osservare anche gli uomini della sicurezza privata.
“E con questo?” chiese Emanuele sorridendo.
Stefano guardò il cielo, stizzito. “Sentite, tutta quella roba montata laggiù ieri non c’era. Nessuna transenna, neanche l’ombra di una sola tenda.”
Gloria gli afferrò una mano delicatamente, guardandolo sempre negli occhi. Gli voleva stare vicino in quel momento, magari trasmettergli affetto.
“Eppure” continuò Stefano osservando sempre quella parte della piazza, “tutte quelle tende io le ho viste nel sogno.”
“Le hanno montate questa mattina.” constatò Emanuele sempre divertito.
“Il sogno l’ho fatto qualche ora fa, quando in piazza non c’era nulla. Possibile che non ci arriviate.”
“Va bene.” disse sua sorella, “Ammettiamo che sia tutto vero, che quello che hai sognato accadrà questa sera, che cosa vuoi fare?”
“Salvare quelle persone” ci pensò qualche secondo, “e capire cosa hanno in mente quelli oltre le transenne.”
Giunse un autobus e della gente scese a terra, altre persone salirono sul mezzo pubblico. “Che cosa c’entrano quelli laggiù?” chiese Emanuele, indicando l’accampamento di tende.
“Intanto, quelli della sorveglianza non sono italiani. E nel sogno, dopo aver visto morire quei due disgraziati, sono entrato in quelle tende.”
“Davvero?” chiesero in coro Gloria ed Emanuele.
“Davvero. C’erano delle strane casse di legno. Non so che cosa ci fosse dentro, ma lo voglio scoprire.”
“Se mi date qualche minuto, chiamo il mio contatto al Comune. Possiamo controllare tutti i permessi che hanno richiesto.” disse Emanuele, tirando fuori il cellulare dalla giacca.
Stefano gli sorrise compiaciuto: “Ottima trovata!” e lo guardò alzarsi dalla sedia.
Gloria e suo fratello rimasero soli. Non si dissero nulla, il brusio della gente agli altri tavoli e il rumore del traffico li aiutò a riflettere.
“Come pensi di entrare lì dentro? Hai visto in quanti sono a controllare il perimetro?” Gloria si ammutolì di nuovo, il suo sguardo era diretto al semaforo pedonale della piazza. Immaginò due persone correre sulle strisce e un cofano di un’auto che impatta contro i loro corpi. Le vennero i brividi. “Come farai a salvare quelle due vite?”
Stefano non le rispose subito ma sorrise per quelle domande che aveva fatto, mentre con il cucchiaino toglieva la schiuma sul bordo della tazzina vuota.
“Domande interessanti” ammise Stefano, “intanto non saremo da soli questa sera.”
“Vuoi chiedere aiuto a Roberto?”
“E’ la cosa migliore da fare. Ci hanno aiutato molte volte nei casi difficili.”
“Già.” ammise la sorella.
Emanuele si sedette al suo posto e poggiò il telefono sul tavolino. “Hanno tutti i permessi in regola.”
“Lo sospettavo.” borbottò Stefano, guardando Gloria negli occhi.
“Ufficialmente devono fare delle riprese esterne questa notte. Hanno una vigilanza privata estera.”
“Molti sono russi.” aggiunse Stefano.
“E tu come lo sai?” gli chiese Gloria, sistemandosi una ciocca di capelli davanti agli occhi.
Stefano sospirò, poi disse: “Perché ho superato quelle dannate transenne, sono entrato in alcune tende e nessuno mi ha visto, nessuno mi ha fermato.”
Emanuele si avvicinò con la sedia, appoggiando i gomiti sul tavolo e, per qualche attimo, studiò l’espressione di Stefano. “Come diavolo fai a sapere che sono russi?”
“Li ho sentiti parlare. Alcune parole erano russe, quindi sono russi.”
“Va bene” s’intromise Gloria, “adesso come ci muoviamo?”
“Voi due andate in ufficio, dobbiamo contattare quel cliente…”
“Si chiama Russo, Marco Russo!” lo aiutò Emanuele, poi scoppiò a ridere. Anche Gloria non riuscì a trattenersi, finché Stefano sorrise. Era teso ma quel gioco di parole lo aveva aiutato a rilassarsi un po’.
“Ci vediamo dopo.” disse a entrambi. Stefano li guardò allontanarsi, dopo si alzò per pagare il conto.