Beh, come avrete notato, ho ricominciato ad aggiornare il blog. Dopo mesi di blocco totale, ho ricominciato a scrivere due nuovi romanzi. Mi è già capitato parecchie volte di non scrivere nulla per molti mesi. Ho imparato a non temerli più e a ricercare nuovi stimoli. Insomma, sto migliorando. Ma non si finisce mai di imparare.
Intanto volevo avvisarvi che in settimana pubblicherò una parte, se non tutto, del primo capitolo di “Casperia – Il male non riposa”. Un po’ come facevo molti anni fa, che davo in pasto a chiunque volesse leggere, tutto quello che poteva partorire la mia fantasia.
“Dreamworld – Io, Katy e Lupo” è sotto editing e credo che manchi poco.
E oggi voglio darvi in pasto un altro breve estratto di questo romanzo. Non leggerete dei sogni di Donovan, né di battaglie per tentare di salvare le vittime ignare. Oggi leggerete… non vi voglio togliere il gusto della lettura.
La sala in cui Donovan entrò una volta doveva essere stata un cinema, ne aveva tutte le sembianze. In realtà lui conosceva poco quell’edificio, perché ai Dreamer non venivano date le carte magnetiche: possedevano solo le chiavi delle rispettive stanze, facevano una vita solitaria, un po’ per sicurezza e un po’ per evitare distrazioni.
Scese lungo il corridoio centrale, ai lati del quale c’erano centinaia di file di sedie di legno, la seduta reclinabile, e un cuscino imbottito doveva renderle comode. Lupo camminava al suo fianco guardandosi intorno. Spesso annusava l’aria, oppure gli angoli più nascosti. In fondo vide un palco su cui si estendeva uno schermo, da qualche parte ci sarebbe dovuto essere un proiettore, o qualcosa del genere.
Appena giunto quasi sotto il palco, scelse di sedersi nella prima fila di poltroncine, sul lato sinistro. Osservò altri ragazzi che stavano arrivando.
Non sei curioso, Donovan? chiese Katy, hai la possibilità di conoscere altri simili a te, e con il tuo stesso dono.
“E’ vero” disse Lupo. La coda rossiccia si muoveva veloce, mentre i suoi occhi osservavano le nuove figure umane che stavano entrando. “Peccato che non ci siano altri cani.” continuò, mettendosi seduto.
Donovan non rispose a nessuno dei due, era curioso di vederne altri di Dreamer. Un ragazzo sui venticinque anni si avvicinò, sedendosi non lontano da Donovan, e gli mandò un sorriso cordiale. Aveva una corporatura piuttosto robusta, i capelli corti e neri, e un viso rotondo. Vestiva un paio di jeans, una camicia e sopra una felpa anonima di colore rosso scuro.
“Sono il numero 5!” disse a voce sostenuta, il rumore delle altre voci sembrava troppo alto per intavolare un qualsiasi dialogo con un tono normale. Donovan si alzò, gli avrebbe voluto stringere la mano, ma la distanza non lo permetteva.
“Mi chiamo Don…” ma poi si corresse, “Io sono il numero 13, piacere di fare la tua conoscenza!” disse quasi urlando.
“Allora sei tu quello nuovo!”, Donovan si limitò a fare un gesto affermativo con la testa. Sentì che qualcuno gli toccò la spalla, si rimise a sedere e vide al suo fianco Lucy Carpet.
“Io sono la numero 18!” esordì, poi gli rivolse un sorriso che lui ricambiò.
“Non ci fare caso. E’ stupido, lo so, ma qui si usano solo quegli insulsi numeri. Niente nomi. A me non è mai andato giù, preferirei essere chiamata Lucy.”.
Donovan si mise ad accarezzare Lupo: “Allora, per me, tu sarai Lucy.”. Lupo si era accomodato tra Lucy e Donovan, se ci fossero scappate altre carezze, a lui avrebbe fatto piacere.
Le luci in sala si abbassarono e, dai due lati sul palco, fecero ingresso alcuni tecnici che montarono un lungo tavolo e alcuni microfoni agganciati a delle staffe.
Lucy si avvicinò a Donovan: “Spero che non ci rifilino i soliti monologhi in stile sermone, perché ti garantisco che sono di una noia…”. Lui non le rispose, era più attirato da tutte quelle voci che sentiva dietro, e dai nuovi volti di ragazzi che erano apparsi pochi istanti prima che smorzassero le luci. Ragazzi e ragazze, più o meno giovani, che facevano la sua stessa cosa: sognare qualcosa che poi sarebbe accaduto.
Alcuni uomini in camice bianco passarono fra le file di sedie e, a un Dreamer per volta, prendevano un campione di sangue. Donovan attese il suo turno guardando il palco mentre i tecnici finivano il loro lavoro.
“Hai paura dell’ago?” chiese Lucy. “Dovrai abituarti. Spesso arrivano e ci levano un po’ del nostro siero. John Duly è intransigente su questo.”.
“Servirà a qualcosa?” domandò Donovan, “Ci salverà la vita?”.
“E’ tutta un’incognita. L’hai visto tu stesso alla chiesa. L’unica speranza che abbiamo è che anche gli altri siano a un punto morto.”.
“Chi sono gli altri?”.
“La nostra controparte. I Reclutatori e gli Esecutori sono persone anonime, gente comune come me e te. E’ difficile riconoscerli se l’incontri per strada, ma sono la nostra spina nel fianco.”.
Donovan ripensò al sogno di Kabul, alle immagini a cui aveva assistito. Poteva esserci stato un Esecutore nascosto da qualche parte? Doveva scoprire come riconoscerli, e come combatterli. Aveva moltissime domande in testa, ma si rendeva conto che a molte di esse, probabilmente, nessuno poteva dargli delle risposte certe.
Una donna in camice bianco gli si presentò davanti sfoderando un sorriso: “E’ il tuo turno, giovanotto!”. Lupo alzò lo sguardo sulla dottoressa esclamando: “Se ti fa male, le strappo un polpaccio!”. Donovan sorrise e porse il braccio tirando su la manica.
Una volta richiusa la fialetta, la dottoressa ci attaccò un piccolo adesivo con la scritta 13° Dreamer.